lunedì 9 settembre 2013

Guerra in Siria. Cambiamento climatico, scarsità di cibo ed esaurimento delle risorse. Il mix esplosivo che ha precipitato il paese nel baratro.

La tragedia siriana è sotto gli occhi di tutti noi. Il Papa ha lanciato un forte e giusto appello affinché tutte le coscienze si risveglino e si oppongano a nuovi massacri che potrebbero portare anche all’estensione del conflitto.

Quello che risulta oscuro sono tuttavia le ragioni di questa carneficina. La favoletta del dittatore cattivo e dei ribelli buoni è una storiella che può andar bene per le menti semplici, ma non soddisfa quanti vogliono capire le vere e profonde ragioni del conflitto che si è scatenato.

In realtà il conflitto siriano si innesta in una fase di destabilizzazione dell’intero Medioriente che trova le sue cause principali nel declino della produzione petrolifera di quei paesi, negli effetti del cambiamento climatico che influenza la quantità di precipitazioni e nella crescita sostenuta della popolazione che si è avuta negli ultimi 20-30 anni.

Osserviamo il grafico che segue:
 

Risulta evidente che a partire dal 1997 la produzione di petrolio siriano ha raggiunto il suo picco e da quel momento è iniziato il declino. Intorno al 2010  il consumo interno ha praticamente raggiunto la produzione, rendendo di fatto nulle le esportazioni. Niente esportazioni significa fine degli introiti in valuta.

Il conflitto in Siria è iniziato il 15 marzo 2011, ovvero proprio nei mesi successivi al pareggio tra produzione e consumo interno: prima interessante coincidenza!

Osserviamo ora il grafico che illustra l’andamento della popolazione negli ultimi 12 anni:


Anche in questo caso appare evidente come la popolazione sia cresciuta di quasi 6 milioni di abitanti nel periodo pre-guerra, proprio mentre la produzione petrolifera stava paurosamente declinando.

Abbiamo ora due elementi interessanti: tante bocche in più da sfamare proprio mentre diminuiscono gli introiti in valuta pregiata!

Ma naturalmente non finisce qui. Guardate come sta cambiando l’entità delle precipitazioni nella zona mediterranea:
 


La grande macchia rossa proprio sopra la Siria significa che c’è stata una drastica diminuzione della piovosità, con conseguente calo dei raccolti.

Tutto questo significa che, mentre diminuiva la capacità di acquistare cibo all’estero a causa del declino dei guadagni petroliferi, la popolazione aumentava e i raccolti scarseggiavano. In questa situazione lo stato siriano non ha potuto correre ai ripari con adeguati programmi di sovvenzione alimentari. La fame e la povertà sono aumentate, soprattutto tra le classi rurali che hanno risentito per prime della diminuzione dei raccolti e hanno trovato le istituzioni impotenti a fornire loro qualsivoglia aiuto.

La conseguenza sono state le prime circoscritte rivolte e l’improvvido tentativo dello stato di rispondere con la forza per far tornare la normalità. Questo è stato il cerino che ha dato via all’incendio nel fienile!

Ecco un’altra immagine che mostra la drastica diminuzione delle precipitazioni nelle zone agricole del paese:
 


 

Per dovere di completezza bisogna aggiungere che la Siria ospitava sul proprio territorio circa un milione di profughi, in gran parte palestinesi delle zone occupate, che hanno fatto aumentare ancora di più la pressione demografica e alimentare.

La storia della Siria è qualcosa di esemplare per il fatto che non solo descrive quanto già avvenuto in altri paesi mediterranei (ad esempio l’Egitto, solo per riferirci al caso più recente), ma mette in evidenza quale potenziale distruttivo e destabilizzante abbiano i cambiamenti climatici in atto sommati al raggiungimento del picco di produzione del petrolio e all’esplosione demografica degli ultimi decenni.

Quale può essere l’insegnamento che si può trarre da queste vicende? Possiamo pensare di rinchiuderci nel nostro recinto nazionale o europeo e non risentirne? Direi che la risposta è NO!

Guardate la mappa delle precipitazioni. Vedete la bella macchia rossa che si sta espandendo sulla pianura Padano-Veneta? Ecco: questo significa che nei prossimi anni la zona agricola più produttiva del nostro paese verrà messa sotto stress (in realtà lo è già). Credo che non bisogna aggiungere altro!

Cosa fare per non arrivare impreparati come la Siria al futuro ormai prossimo? Primo puntare il più possibile all’autonomia alimentare. Oggi in Italia ne siamo ben lontani e, nonostante ciò, migliaia di ettari di prezioso terreno agricolo continuano ad essere cementificati (e pensare che ospiteremo l’EXPO sull’alimentazione…).

Secondo: puntare all’indipendenza energetica cercando di utilizzare massicciamente le fonti rinnovabili, in abbinamento ad un forte piano di efficientamento, diminuzione dei consumi e federalismo energetico (spiegherò in uno dei prossimi post di cosa si tratta).

Terzo e non meno importante aspetto è il controllo sulla crescita della popolazione. Ogni progresso nella produzione alimentare e nell’efficienza energetica viene infatti annullato in condizioni di crescita demografica.

Non ci sono altre scorciatoie. Pensare di risolvere i problemi dell’umanità con la teoria della crescita infinita in un mondo che sta esaurendo le risorse energetiche e minerarie è pura follia. Se non cambiamo strada in fretta faremo, un paese per volta, la fine dei nostri vicini del Mediterraneo.

Ah dimenticavo….scordiamoci di poter mantenere un livello di vita come quello a cui siamo abituati. Efficienza, riuso, condivisione, redistribuzione, sobrietà ed equilibrio dovranno essere le parole d’ordine di un’Umanità che voglia sopravvivere in pace. Viceversa gli scenari di tipo “siriano” ci aspettano dietro l’angolo. Meditate gente, meditate!

giovedì 29 agosto 2013

Sviluppo industriale e tutela della Natura. Convivenza possibile. Basta crederci! Il caso Monfalcone.


Spiace constatare come nella nostra provincia di Gorizia si faccia ancora tanta fatica a far convivere lo sviluppo industriale e la tutela di aree di assoluta eccellenza naturalistica.

La polemica scoppiata tra WWF e Consorzio per lo sviluppo industriale, relativa alle problematiche dell’escavo del canale portuale  e della tutela della zona della cassa di colmata e del canneto del Lisert, mi lascia, come cittadino e come esponente politico,  perplesso e deluso.

La zona in questione dovrebbe costituire motivo di orgoglio per i cittadini delle nostre zone e per lo stesso Consorzio per lo sviluppo industriale. Si tratta infatti di un’area dove si concretizza una tra le più alte concentrazioni di uccelli nidificanti e di passo a livello nazionale. Un’area unica verrebbe da dire. Favorita dalla compenetrazione degli ambienti carsico, marino e dall’emergenza di acque dolci alle foci del Timavo. Un’area dove ambiente mediterraneo e  dinarico si incontrano e creano un’habitat perfetto per la vita e per il popolo dell’aria!

In altri paesi, più civili e lungimiranti del nostro, un piccolo ampliamento dell’area di protezione (relativamente al prezioso e ormai ridotto canneto del Lisert) verrebbe favorito e proposto a simbolo universale di possibile coesistenza tra sviluppo industriale e tutela di un prezioso lembo di natura.

Non così da noi, dove la semplice proposta del WWF viene bollata come eretica e impresentabile. Prevale come sempre la logica predatoria del secolo scorso, dove la Natura deve soccombere sempre e comunque per lasciar spazio alle progressive sorti dello sviluppo…..progressive sorti che, tra l’altro, tutti vedono dove ci hanno condotto! Ad una crisi etico-economico-ambientale da cui non si vedono vie d’uscita.

Non mancano di certo spazi e superfici alternativi per l’insediamento di nuove realtà produttive, basta vedere la quantità di capannoni e aree industriali sfitte e non utilizzate.

Abbiamo 2 aree industriali, Schiavetti Brancolo e Lisert (la prima in fase, tra l’altro, di ampliamento), insediate in aree di grande valenza naturalistica. Abbiamo una cartiera edificata su uno dei posti più preziosi del nord Adriatico: le foci del Timavo, citate ben tre volte nelle opere di Virgilio, che era stato fortemente impressionato dalla bellezza di quest’area. E non bastano gli scempi fatti nel passato: sembra impossibile proteggere anche un piccolo lembo residuale del prezioso canneto rimasto!

Lo sviluppo industriale negli anni a venire mostrerà sempre più la corda, sia per l’imminente esaurimento delle risorse minerarie  facilmente estraibili, sia per il raggiungimento del picco e della successiva riduzione della produzione petrolifera. La valorizzazione del patrimonio storico e  naturale unico del nostro Paese costituisce l’unica alternativa possibile e praticabile. Uomini del secolo scorso al timone delle nostre istituzioni questo non riescono proprio a capirlo! E’ triste, per noi, ma soprattutto per le generazioni che seguiranno.